Un problema molto
comune nel diciassettesimo e diciottesimo secolo erano i denti consumati
dalla carie che dopo qualche disagio sembrava che non dessero più
fastidio e quindi venivano lasciati stare in bocca. Due autori del 700,
il famoso Pierre Fauchard (1728) e il chirurgo generale dell'esercito
inglese John Hunter (1771), segnalarono numerose guarigioni da
reumatismi, malattie di occhi, orecchie e sistema nervoso ottenute
grazie alla bonifica della bocca da questi denti. Anche il celebre
Christopher William Hufeland (1762-1836) parlò di questo
spiegando che una bocca sana, liberata dai denti con carie profonde era
l'unica possibilità di arrivare a vivere a lungo.
Il Goethe (1749-1832)
s'interessò agli insegnamenti di Hufeland dopo che una malattia che
sembrava mortale fu risolta dall'estrazione di un dente infetto....
Tutti i
tentativi precedenti di terapia avevano fallito. Il Goethe visse
altri 64 anni dopo quell'incidente, arrivò all'età di 83 anni
completamente sdentato, seguendo perciò il consiglio di Hufeland di
togliere i denti infetti man mano che si presentavano (Neuhauser 1982,
Hufeland 1797). Un altro esempio sotto gli occhi di tutti è quello di
Mozart (1756 - 1791) che un anno prima della sua morte ebbe alcuni
ascessi dentali che non furono trattati con l'estrazione. Ciò ha forse
potuto contribuire sia ad una recidiva dei reumatismi che al decorso
estremamente sfavorevole della sua malattia. Mozart aveva ancora dieci
denti al momento della sua morte, di cui tre denti con carie profonda,
non estratti e nemmeno trattati (Bär C., "Mozarts Zahnkrankheiten", Acta
Mozartiana 9, 1962, 3, pp.47-54). "Per secoli," scriveva John Hunter
(1771), "i medici hanno dovuto prendere atto del fatto che i denti con
la loro struttura particolare sono suscettibili di diventare la sede di
piccole lesioni croniche infiammatorie localizzate che danno luogo a
disturbi sistemici incredibilmente seri, anche quando localmente nella
bocca il disturbo infiammatorio sembra quasi inesistente."
Nell'arco dei 150
anni che seguirono troviamo segnalate nella letteratura medica del tempo
all'incirca 25.000 - 30.000 osservazioni simili, per esempio la
guarigione da una sordità fulminante nel momento dell'eruzione di un
dente del giudizio (J.G. Pasch 1775) e il ritorno del flusso
mestruale in una donna che per anni non ne aveva avuto, ottenuto grazie
all'estrazione di un dente con carie profonda (Willich 1778).
Delaroche (1798) riportò un caso simile in una donna che soffriva di
mestruo molto scarso con sintomi d'infiammazione gengivale dal lato
destro, e ciò solo in corrispondenza dell'arrivo di queste scarse
mestruazioni. Andando a valutare la salute della bocca, il medico scoprì
dei denti cariati in profondità la cui estrazione fece anche scomparire
definitivamente le anomalie del mestruo.
E arriviamo al 1801:
epilessia, dermatiti, problemi digestivi, mal di testa e artriti
venivano guariti con l'estrazione dei denti infetti dal Dr. Benjamin
Rush, firmatario della dichiarazione d'indipendenza. Egli scriveva:
"Le terapie delle malattie croniche diventano molto più soddisfacenti
se vengono associate alla bonifica di tutti i denti infetti che uno
trova nella bocca dei pazienti." Per esempio Rush ci dice che fu
consultato dal padre di un giovane di Baltimore che soffriva di
epilessia, subito si informò sui denti e risultò che molti di quelli
sull'arcata superiore avevano carie profonde. La loro estrazione infatti
portò ad una perfetta guarigione. Oppure la signorina A.C., affetta da
reumatismo all'anca già da alcuni anni, aveva avuto di recente un grave
peggioramento ed era comparso anche un leggero fastidio ad un dente.
Rush prontamente le consigliò di far estrarre questo dente e fu così che
i sintomi scomparvero del tutto. Rush era assolutamente entusiasta su
tutta questa discussione che le patologie dei denti potessero rivelarsi
così spesso la causa di malattie apparentemente inguaribili ed invocava
a testimoni i numerosi autori che lo avevano preceduto.
Uno dei primi sforzi
"moderni" di classificare la scienza dentale risale ad un importante
chirurgo tedesco, Fabricius Hildanus (1560-1634), che nel suo
manuale segnalava centinaia di testimonianze di emicranie e malattie
sistemiche che erano state guarite estraendo denti cariati in
profondità, laddove tutti i rimedi usati in precedenza non avevano
apportato il benchè minimo beneficio. Nicolas Tulp (1593-1674),
un rinomato medico di Amsterdam esperto di anatomia, osservò che le
malattie dei denti potevano dare origine alle conseguenze più nefaste,
persino essere causa di morte. Dopo di lui Charles St. Yves
(1667-1733), Marcello Malpighi (1628-1694) e Frederik
Ruysch (1638-1731) si distinsero per le loro indagini sui denti e le
loro osservazioni che i denti malati potessero diventare la causa di
vari tipi di patologie nell'organismo. Stiamo parlando dei più illustri
medici dell'epoca. Nathaniel Highmore (1630-1690) descrisse
parecchi casi di sinusiti che guarivano dopo l'estrazione di denti con
carie profonde. Christopher Schelhammer (1649 -1719), che fu
professore di anatomia in diverse università tedesche, specializzato in
malattie delle orecchia, notò che poteva assicurare una guarigione solo
a quei pazienti che accettavano di curare le carie superficiali ed
estrarre i denti con carie troppo profonde. Giorgio Baglivi,
medico di Innocente XII e Clemente XI, autore di manuali medici
famosissimi, osservò nel suo Canone di Medicina: "Le persone i cui denti
hanno un cattivo odore o che hanno cambiato colore nonostante i lavaggi
giornalieri, hanno sempre una debolezza della funzione dello stomaco,
quasi sempre una tendenza all'indigestione, mal di testa dopo i pasti,
una salute generale poco soddisfacente e una tendenza al malumore. Se
impegnati nello studio o negli affari, queste persone sono impazienti ed
irritabili, oppure vittime di episodi di capogiri. Le frequenti
indisposizioni di stomaco danno loro sonnolenza, risveglio lento e
comunque un sonno poco ristoratore." (Baglivi, Opera Omnia Medico.
Practica et Anatomica, Lugduni, 1710).
Se facciamo ancora un
passo indietro nel tempo, Ippocrate (460 - 375 a.C.) segnalò
numerosissimi esempi in cui la patologia dentale aveva l'effetto
d'iniziare reazioni in altre parti del corpo. Per esempio affermò che
"un reumatismo che resisteva ai tentativi di guarigione poteva essere
eliminato estraendo eventuali denti compromessi" (On Epidemics, Hb. ii,
section i, p. 1002). Il più famoso medico di tutti i tempi aveva le idee
chiare e infatti dichiarò che la maggior parte delle suppurazioni focali
causate dai denti provenivano dalle infiammazioni create dai denti del
giudizio. Per esempio nel caso di un ragazzo che aveva dolore in un
terzo molare dell'arcata inferiore destra, Ippocrate si diceva sicuro
del ruolo causale di quella situazione dentale sulla suppurazione a
carico dell'orecchio dello stesso lato. Anche di recente numerosi
autori, confrontando mandibole dall'antichità ad oggi, hanno spiegato
che i denti del giudizio sono un attavismo – derivato da un'epoca quando
il muso dei nostri antenati era più lungo, mentre oggi invece il dente
del giudizio purtroppo spunta sul ramo ascendente della mandibola (Adler
1972, Mieg 1999, Lechner 1991, Grossman 1996). Non solo a volte il dente
del giudizio non spunta proprio fuori ma, quando lo fa, spesso si
presenta con un anomalo grado di inclinazione oppure comunque soffre la
mancanza di spazio e in vari modi ciò crea situazioni croniche
d'infiammazione locali e focali (vedi:
http://www.medicinenon.it/tutte-le-terapie-falliscono-valutazioni-sui-denti-del-giudizio
).
Ippocrate si rifaceva
in realtà alla tradizione di Esculapio, che rimase in vigore tra il 1100
a.C. e il 400 d.C. e che inizialmente veniva praticata solo dai
sacerdoti dei templi esculaplei, per esempio quelli di Epidauro, Cos,
Cnydus, and Rodi, mentre in seguito fu ripresa anche da guaritori non
sacerdoti. Ippocrate operava al tempio di Cos. Un altro argomento
affrontato era il contributo infiammatorio notevole apportato dai
periodi di dentizione difficile nei bambini che poteva far insorgere
problemi in numerose diverse parti dell'organismo. Quest'idea in realtà,
accennata da Omero nell'Odissea, apparteneva anche ad Esculapio ed è
stata descritta dalla letteratura di ogni epoca, dagli scritti in India
del 1000 a.C. fino a Soranus di Efeso (117 d.C.) e ai medici del
diciassettesimo secolo. Questa osservazione ricorrente su disturbi a
distanza che vengono innescati da un'infiammazione nella bocca
evidentemente venne accolta dal modus operandi olistico di Esculapio che
spesso chiamava in causa la "forza vitale".
In questo testo ci
dobbiamo accontentare di seguire alcuni aspetti del discorso nelle
parole di Ippocrate, che sono più concrete e che ci vengono da fonti
dirette, perché tutte le fonti che citano l'approccio olistico di
Esculapio sono così entusiaste da apparire miticizzate. Nello stabilire
la diagnosi di una malattia, Ippocrate consigliava di cercare il suo
punto di partenza. Per esempio se si trattava di mal di testa, di
disturbi alle orecchie o agli occhi, o di un qualsiasi sintomo su un
lato solo del corpo, insisteva che la causa poteva essere spesso
rintracciata in qualche infiammazione nelle aree dei denti. La famosa
massima ippocratica, "le malattie dovrebbero essere combattute alla loro
origine", esprime proprio questo modo di pensare.
Ippocrate aveva
l'abitudine di fare osservazioni a 360° prendendo una gran quantità di
appunti, proprio perché cercava di capire quale "spina irritativa"
potesse essere la più rilevante nel caso specifico, la fonte degli
"umori dannosi" che stavano invadendo l'organismo e creando il disturbo.
La valutazione dello stato dei denti era preponderante, un elemento
onnipresente nella sua indagine. Tutti i medici ippocratici
dell'antichità avevano questo punto di vista, come per esempio Erofilo e
Erasistrato, illustri dottori della scuola medica di Alessandria (300
a.C.). Interessante anche notare che il famoso enciclopedista e
ricercatore medico romano, Aulo Cornelio Celso (25 a.C. - 50
d.C.) non fece altro che tramandare la tradizione medica ippocratica.
Apprendiamo da Celso che i denti che causano il ritiro delle gengive
sono morti e il terapeuta che non li prende in considerazione non
riuscirà a far guarire i suoi pazienti. Detto in altre parole, "A tutti
quelli che non conoscono la causa della malattia, risulterà anche
impossibile curarla". Secondo quanto spiegava Ippocrate, Celso coniò la
famosa frase: "rubor, tumor, calor, dolor, functio lesa" (ripresa da
Galeno, che nel 200 d.C. scrisse tre libri di commentari su
Ippocrate), che descrive nell'ordine: (rubor) foci infiammatori, (tumor)
rigonfiamento, concentrazione e perimetrazione di un focus di metaboliti
infiammatori, (calor) la reazione primaria del sistema immunitario, (functio
lesa) una fase tardiva, cronica, caratterizzata dalla degenerazione del
tessuto invaso a distanza quando il sistema immunitario è sfiancato e
meno efficiente.
Sfortunatamente nei
secoli ci si dimenticherà quasi del tutto l'incoraggiamento di Ippocrate
sulla necessità d'indagare la presenza nell'organismo di siti primari di
infiammazione o di putrefazione localizzata, come per esempio l'interno
dei denti compromessi, che diventa il fattore causale di disturbi a
distanza, prima indebolendo le difese del sistema di regolazione e poi
trasmigrando in altri siti secondo meccanismi di locus minoris
resistentiae.
Questo modo di
pensare sui denti lo ritroviamo anche in pieno medio evo, presso i
guaritori naturali. La loro diagnosi partiva dalla bocca e la guarigione
veniva coadiuvata da cambiamenti di alimentazione, impacchi e tisane con
fitoterapici specifici per risvegliare la presenza dell'organismo nelle
parti ammalate. Anche i professori delle prime università di medicina
raccomandavano l'estrazione dei denti malati per la cura delle patologie
degli occhi e delle orecchie e di altri organi distanti (Ambroise
Pare, 1517-1590, Giovanni Andrea Della Croce, 1533-1603, e
Pieter van Foreest 1522-1597). Questi autori erano finanche a
conoscenza del fatto che numerosi malanni potevano essere fatti risalire
a qualche frammento di radice rimasto nell'osso mandibolare nel corso di
precedenti estrazioni dentali.
Nel 1838 il Dr.
Shearjashub Spooner scriveva: "Non credo sia il caso di dubitare
ancora che le malattie dei denti siano in grado di causare dei disturbi
fisici a distanza e possano contribuire allo sviluppo di malattie
sistemiche croniche." E citava oltre alle sue osservazioni personali una
quarantina di esempi di simili guarigioni
pubblicati da
Leonard
Koecker
in "Grundsätze
der Zahn-Chirurgie" (Weimar, 1828).
Fu proprio negli anni seguenti che ci fu lo scisma
ufficiale e definitivo tra medicina e odontoiatria. Nel 1851 il prof.
Thomas Bond, dell'Università di Baltimora, era protagonista di un
ulteriore tentativo di ricucire la disattenzione crescente dei medici su
questo argomento invitandoli a "non sottovalutare la patologia dentale
come causa di difficoltà organiche a distanza, come invece sta accadendo
oggi che facciano i più." Per quanto in questo periodo ci siano ancora
molti autori interessati a questo tema, significativo è il seguente
passaggio di Samuel Fitch, autore di "System of Dental Surgery"
(1827): "Voi mi direte, com'è possibile che la correlazione tra
patologie dentali e malattie sistemiche, se è vera, sfugga
all'attenzione della più parte dei medici? Ebbene dovete sapere che gli
insegnamenti sui denti da alcuni decenni sono stati tolti dal curriculum
formativo dei medici, dopodichè questi generalmente non hanno la
curiosità di valutare l'argomento in relazione alle malattie che sono
già impegnati a curare con un folto arsenale di sostanze."
Fitch tra le altre
cose raccolse un'ampia casistica sulle infezioni dentali come fattore
decisivo nello sviluppo della tubercolosi. Anche Leyden (1867),
Fuller (1881), Jaffe (1886) e Israel (1886)
segnalarono diversi casi di tubercolosi polmonare che guarivano in
seguito all'estrazione di denti compromessi. Ungar (1884)
richiamò l'attenzione alla caratteristica ulcerazione delle gengive, che
nel caso specifico di un suo paziente tubercolotico nasceva proprio da
un dente cariato in profondità. Il dente sospetto fu rimosso ottenendo
un sorprendente recupero delle condizioni di salute del paziente.
Già Areteo di
Cappadocia aveva descritto una considerevole infiammazione della
gengiva nel primo caso di tubercolosi mai consegnato alla storia nel 1°
secolo d.C. (De causis et signis diuturnorum morborum).
William Duke
nel suo "Oral sepsis in its relationship to systemic disease" (1918)
invitava i suoi colleghi a trattare la tubercolosi e i casi di tabes
dorsalis con la bonifica delle infezioni dentali, perché queste
potessero essere la causa principale o comunque un co-fattore decisivo
nel decorso di queste malattie. Anche il celebre chirurgo francese
Antoine Petit aveva pubblicato nel 1750 alcuni casi di guarigione di
tubercolosi di lunga data ottenuta in seguito all'estrazione di denti
malandati. Il Dr. Gater (1801) oltreoceano quotava nel 1801 due
casi di guarigione, uno da consunzione ed un altro da vertigine,
entrambi che duravano già da parecchi anni, con l'estrazione
semplicemente di due denti mal messi.
Nel 1848 si distinse
per delle segnalazioni nello stesso ambito il Dr. Mayo Smith:
"Molti pazienti vittime di consunzione polmonare pagano delle fortune
per curarsi, per fare lunghi soggiorni termali oppure per viaggiare
magari in assolate isole del mediterraneo. E però queste ed altre spese
mediche al più rallentano solo leggerissimamente la progressione della
malattia senza fermarla. D'altro canto le mie osservazione cliniche mi
dicono che la maggior parte di questi pazienti avrebbero semplicemente
bisogno di essere inviati da un bravo dentista per estrarre i denti
compromessi che stanno contribuendo alle loro sofferenze, alle loro
spese mediche e in pratica ad una loro morte prematura.
Qualche tempo fa si
presentò da me una giovane donna con una diagnosi di tubercolosi.
Soffriva di consunzione da molti anni, ma le sue condizioni erano
peggiorate in modo serio nell'ultimo periodo. Era debilitata, emaciata,
estremamente sensibile a sforzi e stress. I suoi medici le avevano
consigliato con insistenza di fare un viaggio nella sua nativa Marsiglia
nella speranza che il mediterraneo potesse aiutarla a rimettere su un
po' di forze. Mi disse che a tratti aveva avuto disturbi ad un dente che
aveva curato con degli impacchi. Dai denti frontali uno poteva pensare
che la salute dei suoi denti fosse discreta e invece quando andai a
vedere meglio trovai uno stato alquanto deteriorato di molti denti. Per
esempio sull'arcata superiore destra tutti i molari e un premolare erano
completamente compromessi. Ma lo stesso era simile per l'arcata
inferiore. Otturai quelli che potevano essere curati, tolsi il tartaro
estrassi quelli che era impossibile salvare. Circa una settimana dopo la
paziente si sentiva così tanto meglio che aveva già abbandonato tutti i
propositi di viaggiare. Quando la vidi tre mesi dopo era cambiata così
tanto nell'aspetto che stentai a riconoscerla. Gli occhi erano fulgenti
e tutte le sue difficoltà sembravano proprio essersi dissolti. Suo padre
non finiva più di congratularsi con me, in effetti non aveva fatto altra
terapia che questa della bonifica della situazione dentale. Io d'altra
parte ho osservato spesso patologie anche più gravi di questa che
venivano causate da infezioni dentali. Forse non in tutti i casi i
cambiamenti positivi avvengono con grande immediatezza come in questo
caso, ma i decorsi positivi verso la guarigione sono la norma. Alcuni
colleghi mi dicono di aver raccolto una casistica simile. Mi auspico
davvero che anche il medico generico entri nella logica che il primo
indispensabile passo per il recupero della salute di questi pazienti sia
la valutazione di eventuali patologie dentali."
Senza ora voler
entrare troppo nel dettaglio, il discorso è che i micobatteri o altri
microrganismi patologici non sono sè stessi se prima non hanno trovato
un antro in cui essere localizzati preferenzialmente e proliferare.
Ebbene l'occasione giusta viene fornita dalla struttura dei denti al
microrganismo nel momento in cui la vitalità del dente vacilla (Avdonina
1991)
Vallow nel 1914
sosteneva che la tubercolosi poteva senz'altro essere causata da un
dente cariato in profondità e Gambetti (1966) di nuovo riportava un caso
simile. Vallow spiegava che proprio il fatto che al micobatterio
capitasse l'occasione di andare a cultura nel dente era decisivo prima
dell'attacco focale sul tratto gastrointestinale o la colonizzazione
definitiva dei polmoni.
Vallow allora si
soffermava a considerare il dente depolpato, devitalizzato: "Al dente
cui è stata fatta la cura canalare senz'altro sono stati eliminati i
tessuti linfatici interni della radice, ma l'area intorno all'apice del
dente è ancora ricca di tessuti linfatici, per cui non deve suscitare
stupore che un'infezione cronica non vista dal sistema (perché in una
zona franca) possa fare danni a distanza e possa prima danneggiare il
sistema linfatico e poi "usarlo" per propagarsi. Robert Major nel 1917
faceva notare che la propagazione dell'infezione nell'organismo era
preceduta da una lunga fase in cui il sistema immunitario e il sistema
linfatico erano stati avvelenati in modo asintomatico da bassissime dosi
di proteine tossiche che derivavano dal metabolismo anaerobico di questi
batteri.
Secondo le
osservazioni del Dr. William Duke, la malattia sifilitica poteva in
molti casi regredire completamente a seguito della bonifica delle
infezioni dei denti, così come anche casi gravi d'infezione tifoide.
Recentemente in effetti risulta da uno studio di Motta (2011) che le
infezioni dentali croniche rappresentano un fattore primario di
mantenimento degli episodi reattivi di lebbra e uno studio di
Papagrigorakis (2006) mostra la presenza di una colonia del bacillo del
tifo all'interno della radice di un dente cariato in una persona morta
durante la piaga di Atene nel 430 a.C.
Abbiamo detto del
contributo causale delle patologie dentali nella tubercolosi polmonare
(tisi). Questa era una causa importante di malattia e di morte nel 1800.
"Tubercolosi" onestamente era il termine usato per quasi tutte le
malattie del tempo, per esempio nel caso di Mozart si parlò di
tubercolosi con coinvolgimento reumatico e renale. Documentandosi bene
sembra proprio che il compositore abbia sofferto di una malattia
neurofocale di origine dentale (peggiorata da fattori contingenti). La
vittima di tubercolosi polmonare più famosa che l'800 ci ha consegnato
fu Marie "Violetta" Duplessis (1824-1847), la prostituta più famosa di
tutti i tempi, che si innamorò ricambiata di un suo cliente. Ammalatasi
giovanissima di una grave forma di tisi, non fece in tempo a cambiare
vita proprio a causa della malattia, come abbiamo appreso dalla Traviata
del Verdi (1853) o dal romanzo 'La Signora delle Camelie' di Alexander
Dumas (1952) che la vedono protagonista. Violetta aveva lasciato la sua
famiglia di contadini della Normandia per stabilirsi a Parigi all'età di
14 anni ed iniziare a lavorare presso un fornaio. Una bellezza
straordinaria, all'età di 20 anni riceveva conti e duchi in un
appartamento sontuoso in Boulevard de Madeleine. Ci fu una
indimenticabile partecipazione di popolo a Parigi ai funerali di
Violetta. Una bellezza straordinaria, un carattere vivace, la cortigiana
aveva rappresentato in quegli anni l'argomento di conversazione più
apprezzato in tutta la Francia. Ogni volta che debuttava una commedia
nuova a Parigi si era certi di vederla apparire con tre cose che non la
lasciavano mai, poste sul parapetto del suo palco privilegiato:
l'occhialino, un sacchetto di dolci e un mazzo di camelie. Sembra che la
sua passione per i dolci abbia giocato un ruolo centrale del suo dramma.
Infatti molti autori del tempo facevano notare che ad ammalarsi di
consunzione erano molto più di frequente i consumatori di zucchero che
non gli altri.
Alexander Dumas, che
ebbe una breve, burrascosa relazione con lei, la descrisse come nervosa,
facilmente affaticabile, facilmente irritabile, capricciosa, con un
comportamento infantile, pallida, molto emotiva, impulsiva,
incontrollabile. Insomma aveva anche segni di nevrastenia, che infatti
colpiva proprio i consumatori di zucchero. Violetta accettava come
regalo floreale solo le camelie, fiori privi di profumo, visto che le
davano fastidio gli odori (primo caso di sensibilità chimica multipla?).
Garencières
(1610-1680), un farmacista francese che trascorse la maggior parte della
sua vita in Inghilterra, ha spiegato che lo zucchero in Inghilterra era
responsabile della Tabes anglica, una forma di tisi particolarmente
diffusa.
Secondo quanto
riportato dallo storico del 18° secolo William Stith, lo zucchero ebbe
il potere di far ammalare Pocahontas di consunzione (1595-1617). Suo
padre, King Powhatan, che odiava i modi degli inglesi, sospettò subito
che la loro decadenza morale, fisica e l'odore che emanavano attraverso
la pelle avessero tutti un'origine comune, e cioè le razioni di
zucchero, i biscotti e l'alcool o il rum della marina inglese. Ma
Pocahontas, contrariamente a suo padre, rimase affascinata e acritica di
tutte le novità. Il primo regalo che le fece Smith, l'inglese cui salvò
la vita, furono zucchero e dei biscotti. Quando Pocahontas arrivò a
Londra fu ospite della famiglia reale e tutta l'aristocrazia di Londra
faceva a gara per averla presso di sè. Banchetti e feste danzanti furono
date in suo onore. Il nuovo regime dietetico mise duramente alla prova i
suoi denti. Pocahontas sviluppò una grave malattia che la portò alla
morte per consunzione. Gli indiani, tutti tranne Pocahontas, erano
fortemente convinti di questa relazione causa-effetto, e perciò erano
prevenuti. Il Dr. Weston Price ce ne parla nel suo libro 'Nutrition and
Physical Degeneration'.
Quando Price visitò
gli indiani che vivevano nelle zone più impervie e lontane delle
Montagne rocciose, Price chiese al capo della tribù indiana quale
potesse essere la ragione per cui loro non si ammalavano di consunzione.
L'indiano rispose: "Perché queste sono malattie dell'uomo bianco".
Price: "Cioè gli indiani sono immuni?" "No, anche per gli indiani è
possibile ammalarsi. Ma il problema dell'uomo bianco è che ha voluto
dimenticare da tempo la correlazione tra ciò che mangia e la sua salute.
Ma è vero, anche gli indiani che consumano le farine e lo zucchero
venduto nei negozi dell'uomo bianco si ammalano." Price notò che i denti
degli indiani dello Yukon erano immacolati e a dire il vero anche il Dr.
Benjamin Rush nel 1800 aveva fatto la stessa osservazione.
Studi su mummie nel
periodo pre-dinastico (3400 a.C. fino al 1700 a.C.) mostrano che gli
egiziani avevano denti buoni. Ciò valeva in modo particolare per le
classi povere. I faraoni e le classi più abbienti invece avevano la
sfortuna d'incorrere più facilmente in patologie dentali. Il medico
egiziano Arad Nissa curò il faraone Annaper Essa nel 500 a. C. con
l'estrazione di denti cariati. Il faraone soffriva di dolori reumatici
cronici alle ginocchia che in un primo momento erano stati tenuti sotto
controllo con impacchi e misture tradizionali ad uso medicinale. Ma ad
un certo punto i dolori del faraone aumentarono e non erano più
controllabili con i rimedi. Ce ne parlano appunto i geroglifici: al
dottore fu dato un ultimatum, o riusciva a liberare Annaper dai dolori
reumatici oppure sarebbe stata ordinata la sua decapitazione. Il dottore
allora trovò il coraggio di fornire la sua visione dei fatti. La
malattia non sarebbe migliorata se non fosse stata allontanata la causa,
e cioè i denti infetti. Fu così che il faraone guarì, si sentì come
rinato dopo le estrazioni di alcuni denti infetti e il medico fu ben
ricompensato per il successo ottenuto! [Kuhmlein 1999]
Lo stesso avvenne per
il re assiro Asarhaddon secondo delle tavolette di Ninive risalenti al
650 a.C. (ce ne parla Leroy Waterman nel suo "Assyrian Medicine in the
Seventh Century", 1925). Il suo medico Aradna gli dice che solo quando
accetterà di farsi estrarre i denti potrà riprendendersi dalla malattia,
che in quel caso era una grave poliartrite a gambe e braccia, peggiorata
da mal di testa. “I denti del mio Re devono essere rimossi, perché è con
essi che nasce l'infiammazione interna. I dolori scompariranno
immediatamente e il suo stato di salute tornerà normale”. Le conoscenze
empiriche di Aradna insieme con tutta la clinica accumulata dai medici
assiri gli davano la sicurezza di non sbagliarsi. Se Asarhaddon non
guariva dopo aver tolto i denti, il dolore sarebbe stato tutto del suo
servitore che gli aveva consigliato una cosa simile!
Allarghiamoci
leggermente un attimo per poi tornare al punto. M. Robert segnalò in
Treatise on the Principal Objects of Medicine, vol.2, pag.311 (1844)
il caso singolare di un bimbo che morì una sera dopo aver sofferto con
gengive dolenti per denti primari che non riuscivano a venir fuori.
Saputa la triste notizia il medico curante si recò da lui per osservare
le condizioni dell'alveolo infiammato dove il dente non era riuscito a
spuntare. Fece dunque un'incisione della gengiva, si accingeva ad
effettuare una esplorazione minuziosa dell'area, quando improvvisamente
vide il bimbo aprire gli occhi e mostrare segni di vita. Il piccolo fu
liberato dal sudario nel quale lo avevano già sistemato, fu accudito, il
dente venne fuori e il bambino recuperò perfettamente.
I miracoli di guarire
i paralitici, i sordi, i lebrosi e i ciechi o di risorgere i morti, si
potrebbero riferire alla conoscenza che Esculapio aveva dell'effetto dei
denti nelle malattie? Come abbiamo visto la presenza di denti morti o
infetti crea una situazione cronica di avvelenamento dell'organismo.
Questo il modus
operandi di Esculapio, il figlio prediletto del dio della medicina
Apollo. Prediletto perché consapevole di alcune caratteristiche della
"forza vitale".
" Hermon of Thasus.
His
blindness was cured by Asclepius." [Inscriptiones Graecae, 4.1.121 -
122, Stele 2.22]
"I
found [in writing this history] some who are reported to have been
raised by him [Asclepius] , to wit, Capaneus and Lycurgus, as
Stesichorus [645- 555 BC] says... Hippolytus, as the author of the
Naupactica reports[6th century BC], Tyndareus, as Panyasis [c. 500 BC]
says; Hymnaneus, as the Orphics report; and Glaucus...as Melasogoras
[5th century BC] relates."
Apollodorus, The Library, 3.1.3- 3]
Il Dr. Mayo G. Smith
(1848) riportò la guarigione completa di un paziente che prima era così
sordo che gli si poteva parlare solo attraverso una tromba all'orecchio.
Leonard Koecker riportò casi simili di guarigione (Deafness and case
of lost sight cured by proper dental treatment. Am. Jnl. Dent. Sci.
3: 243-245, 1842-43). Problemi di varia natura all'udito che erano stati
causati da infezioni dentali croniche sono stati segnalati anche da
Arthur (1846), Harvey (1850), Niesmann (1850), Hilton (1861), Drew
(1877), Tenison (1879), Spencer (1880), Smith (1885), Prosser (1887),
Netter (1889), Dempsey (1901, Broca (1904, Smith (1912), Hutchinson
(1920), Adam (1921), Frenzel (1921), Hartwich (1921), Huddleston (1921),
Tousey (1922), Cahn (1923), Price (1923), Pilot (1924), Valentine
(1924), Clark (1925), Dunlap (1925), Goadby (1925), Gracey (1925),
MacKenzie (1925), Kaiser (1926), Kelemen (1926 & 1927), Leto (1927),
Podesta (1927), Reys (1927).
Diversi autori anche
nel corso dell'ultimo secolo hanno fatto questa scoperta della
correlazione tra malattie croniche degenerative e necrosi mandibolari o
denti infetti asintomatici perché devitalizzati. La presenza di questi
denti è un fardello insostenibile per la forza vitale della persona
malata, ribadivano sulla scia di Ippocrate il Dr. Josef Issel, il Dr Max
Gerson e numerosi loro illustri colleghi che consigliavano di
allontanare i denti devitalizzati nelle persone malate. Impossibilitati
in questo articolo a seguire nel dettaglio i casi clinici presentati da
questi autori e finanche fare un breve elenco di tutti gli altri che si
sono avvicinati a questa tematica, vediamo come succede che un medico
faccia questa scoperta autonomamente.
- Come ne sono
venuto a conoscenza,
Dr. Davo Koubi in: "O
la bocca o la vita!", Grancher Ed. 1991
Fu all'inizio della
mia carriera, neo-assunto presso il dipartimento di Stomatologia
dell'Università di Cannes, che iniziai a fare osservazioni inaspettate
su come alcune malattie cronico-degenerative rispondevano all'estrazione
di denti infetti. Una donna soffriva da nove anni di una malattia alla
pelle con formazione continua di croste suppuranti. Sollevando una
corona era uscita una puzza nauseabonda da un dente che perciò
estraemmo. Togliendo quel dente, la sua condizione cronica sparì
immediatamente. Un altro paio di osservazioni che feci nel giro di
qualche settimana riguardavano: (1.) una undicenne, cui estrassi un
dente da latte compromesso; l´effetto più rilevante fu quello di
guarirla dalle sue difficoltà di mantenere normali valori di glicemia
nel sangue; (2.) un'altra estrazione di un dente da latte infetto portò
alla guarigione di una dermatite cronica in un altro ragazzo di dieci
anni; i genitori mi segnalarono anche che dopo l'estrazione avevano
notatao che il ragazzo era diventato molto meno agitato, non faceva più
incubi come succedeva di frequente prima, si era liberato della sua
occasionale insufficienza respiratoria. Mi ricordai allora cosa era
accaduto con mio padre nel 1930. La sua vita sregolata si trovò davanti
al verdetto della clinica Universitaria che preannunciava una sua fine
prossima a causa di una tubercolosi con infezioni ricorrenti e
congestione polmonare. Dovette restare a casa per quanto stava male e
ciò non era mai successo in vita sua. Aveva 45 anni. Noi in famiglia
eravamo sempre dipesi dal suo lavoro ed ora eravamo sull'orlo del
lastrico! Ad un certo punto fu costretto ad andare dal dentista per dei
terribili dolori al viso, noi pensavamo che fosse proprio la fine per
lui! E invece no, fu la sua salvezza, perché gli trovarono uno stato di
degradazione mandibolare avanzata, cioè un'osteomielite sotto tutti i
denti che rese necessario estrarre non solo i denti devitalizzati ma
anche quelli affianco, allo scopo di pulire l'osso e fermare i dolori.
Avendo liberato la bocca da quelle nicchie putride, mio padre guarì,
riprese tutti i suoi eccessi, e non ebbe mai più quelle malattie. Visse
ancora 32 anni in discreta salute, cioè fino ai 77 anni di età. Certo,
aveva dovuto mettere la dentiera, ma era guarito!
Come dice il Dr. G.
Pelz in un libro del 1966, «a chi più e a chi meno, cari dentisti, è
capitato a tutti di prendere atto, dopo un'estrazione di un dente
devitalizzato infetto, delle reazioni entusiaste di pazienti che
scoprivano di essere stati liberati da questo o da quel disturbo. Per
esempio i pazienti riportavano che nel giro di due o tre giorni
dall'estrazione un mal di testa era sparito, o addirittura una
sciatalgia, o un dolore lombare. Questo evento, estremamente
gratificante per il paziente, viene però spesso considerato una
fortunata coincidenza temporale. Ma non si tratta affatto di un caso…».
Decisi di tenere gli occhi aperti, volevo avere altri dati perché di
certo non riuscivo a pronunciare il mio verdetto su una storia così
impossibile da credere: guarigioni definitive e così nette solo dopo
l'estrazione di un dente devitalizzato? Denti apparentemente perfetti
erano invece compromessi? Ci fu una lunga, lunghissima fase che io
chiamerei: l'apprendista ha delle riserve ma inizia a farsi una sua
opinione. La perplessità del neofita mi obbligava ad un silenzio
prudente.
La mia avida
curiosità però ormai stava tracciando il solco di una opinione personale
netta in base alle evidenze della scomparsa dei dolori e di una
moltitudine di malattie acute o anche croniche! Altro che analisi del
sangue, elettrocardiogramma, vaccini, auscultazione e quant'altro!! Io
volevo vedere solo l'ortopanoramica quando mi si presentavano pazienti
in difficoltà. Più andavo avanti e più diventavo dipendente da quel tipo
di osservazione. Per quanto riguarda me, avevo iniziato a soffrire di
mal di testa, vertigini e tachicardie poco dopo che all'età di 15 anni
ebbi un dente devitalizzato. Dopo 16 anni andai a togliere quel dente e
tutti quei problemi scomparvero insieme alla stanchezza. Ero stufo di
crisi parossistiche che mi portavano quasi all'invadilità, nonostante
una alimentazione curata. Farmaci allopatici, yoga e massaggi non ebbero
mai ragione di questi disturbi cronici. Le diagnosi erano state varie:
aerofagia, deficienza alla vescica biliare, sinusite, ipertensione.
Strano che un 16enne avesse diagnosi di questo tipo. A 31 anni di età mi
dissero che bisognava sacrificare l'appendicite. Tutti i medici
concordavano nella diagnosi di appendicite cronica e si pensava che in
qualche modo stesse contribuendo anche al peggioramento dei miei altri
sintomi. Per quasi un anno fui obbligato a lavorare meno ore possibile e
sospesi ogni altra mia attività. Prima di accettare la chirurgia per
l'appendicite decisi di togliere dalla bocca quel dente che era stato
devitalizzato poco prima della comparsa dei miei problemi 16 anni prima.
Era un molare superiore che dalla radiografia sembrava ineccepibile, sia
come terapia canalare che come tenuta senza infezioni. La gengiva era
sana. Comunque la mia decisione era presa. L'assenteismo cronico cui le
mie condizioni di salute mi condannavano fu la mia motivazione decisiva.
Ritornai alla normalità dopo l'estrazione di quel dente devitalizzato.
Che altro aggiungere? Migliaia di osservazioni simili si sono susseguite
negli anni seguenti. Era come se un velo si fosse strappato davanti ai
miei occhi. Ero entrato nella logica della soppressione della causa dei
disturbi.
Abbiamo detto di mio
padre, ora vorrei fare una piccola digressione su mia madre. Dopo i
dolori reumatici fu colpita anche da un aneurismo. E mentre era saturata
di consigli da tutte le parti su tisane e farmaci vari continuava a fare
visite da dentisti. Io stesso l'avevo accompagnata a fare qualche
devitalizzazione. A fronte dei mal di testa costanti, della paralisi
facciale, delle vertigini, dei disturbi reumatici, mia madre sofferente
e disperata aveva adottato un regime ferreo di farmaci, d'iniezioni per
i dolori, ma anche una dieta macrobiotica accortissima. La sua tensione
arteriale era arrivata a 29! Disperata aveva anche riposto le sue ultime
speranze in riti religiosi e formule magiche. Oggi sicuramente mi
crederebbe se le chiedessi di lasciarmi fare le estrazioni dei suoi
denti devitalizzati. Secondo me sarebbe un atteggiamento sconsiderato e
sbagliato da parte mia quello di insistere nel riportare tutte le
patologie ad una causa sola. Ma altrettanto penalizzante e sbagliato
sarebbe ignorare questo campo di ricerca. So per certo che la conoscenza
di questi fenomeni di causa-effetto possono risultare utili ad un gran
numero di persone. I denti devitalizzati diventano "focali" senza che ce
ne si accorga e possono iniziare fenomeni distruttivi e infiammatori
sull'osso sotto di essi.
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