Non potevamo aspettarci 
altro: Big Pharma è a disagio ma non molla. Del resto, mica si può 
mollare un osso con tanta polpa attaccata come quello dei vaccini.
Di seguito, l’articolo che ho pubblicato su
Autismo & Vaccini (http://autismovaccini.com/2012/10/11/vaccini-quale-informazione/)
 in risposta a quanto diffuso da La Stampa a proposito della criminalità
 planetaria dei genitori che non vogliono vaccinare i loro figli.
Leggo con tristezza ma 
senza sorpresa l’articolo “Non vuoi vaccinare tuo figlio? Così metterai a
 rischio il mondo” pubblicato da La Stampa (http://lastampa.it/2012/10/10/societa/mamme/salute/pediatria/non-vuoi-vaccinare-tuo-figlio-cosi-metterai-a-rischio-il-mondo-3safN3QSnJNkwD9l0aRJWO/pagina.html).....
Un concetto travisato di 
democrazia ha fatto passare l’idea che chiunque abbia non solo titolo, 
ma autorità, per disquisire di qualunque argomento, e questo, con ogni 
evidenza, è quello che devono aver pensato l’autrice dell’articolo, tale
 Paola De Candia, e il suo editore.
Senza cedere alla facile 
ironia possibile sull’ingenuità del titolo e senza soffermarmi più che 
con un accenno alla “poliomelite”, vale a dire la versione italiana da 
cortile di quella che in ambito patologico si chiama, invece, 
poliomielite con una i galeotta, versione che fotografa già di primo 
acchito la competenza dell’autrice, temo che l’articolo sia decisamente 
male impostato.
Le banalità elencate sono 
quelle degli spot pubblicitari diffusi dalla cosiddetta Big Pharma e, 
purtroppo, offrono una visione a dir poco parziale e pesantemente 
censurata di quella che è, invece, la realtà dei fatti.
Il concetto di 
vaccinazione è senz’altro geniale. Indurre artificialmente l’organismo a
 formare anticorpi contro una determinata malattia pare un’idea 
eccellente e la pratica era già diffusa qualche secolo fa, prima che 
Jenner se ne occupasse da medico infettivologo ante litteram. Si 
prendevano dalle mammelle le croste delle vacche malate di vaiolo bovino
 e le s’insufflavano nel naso dei soggetti umani. Questo, 
nell’esperienza di chi esercitava la pratica (non erano medici), portava
 ad un certo grado di protezione contro la varietà umana della malattia.
Uno dei problemi più 
evidenti di quella e di tutte le vaccinazioni che seguirono era e resta 
l’inciampo di un’immunizzazione ben meno efficace e duratura rispetto a 
quella indotta dalla malattia contratta veramente e, per questo, si 
cercarono espedienti per migliorare gli effetti. Allora, via ad aggiunte
 chimiche mirate ad accentuare la risposta immunitaria.
Malauguratamente, la 
forzatura si spinse, e continua a spingersi, oltre i limiti del 
ragionevole, tanto da portare con sé effetti collaterali di varia 
gravità che, come sempre accade in Medicina, si manifestano solo su una 
parte della popolazione.
Un concetto fondamentale 
che, pur semplice e alla portata di chiunque, pare sfuggire alla 
considerazione è la difficoltà, fino non di rado all’impossibilità, di 
prevedere quali possano essere gli effetti reali di una mistura di 
composti chimici quando li s’introduce in un corpo vivente. Più un 
organismo è complesso – e quello umano è, in assoluto, il massimo della 
complicazione su questo pianeta – più marcata diventa l’imprevedibilità.
 Per rendersi conto di questo ricorrendo all’esperienza comune, basta 
considerare il fenomeno delle allergie e delle sensibilità: a me il 
Nichel non dà alcun fastidio, al mio vicino di casa fa prudere la pelle.
 Una minima traccia di caffeina mi tiene sveglio per tre notti quando, 
invece, mia sorella beve un generoso caffè prima di dormire il sonno dei
 giusti. Se, poi, si somministrano contemporaneamente molecole 
farmacologicamente attive, nessuno è in grado di giurare sugli effetti 
che ne conseguiranno.
Ecco, allora, che i 
conservanti, gli stabilizzanti, gli adiuvanti, gli antibiotici e gli 
eccipienti vari che formano ormai di regola la composizione dei vaccini 
disponibili complicano il pronostico relativo alle reazioni del 
vaccinando. Non mi soffermo su componenti come i composti già usatissimi
 di Mercurio e quelli di Alluminio perché anche le autorità di controllo
 sono state costrette da evidenze pagate a suon di complicanze 
irreversibili a limitarne l’impiego. Ma le complicazioni non si fermano 
qui. La pratica corrente è quella di somministrare vaccini polivalenti, 
cioè mirati contro non una ma una serie di malattie, con questo 
obbligando l’organismo a qualcosa che non esiste nel suo bagaglio 
naturale: contrarre contemporaneamente un elenco di patologie e produrre
 gli anticorpi del caso.
Ultimamente, poi, stanno 
venendo alla luce aspetti finora ignorati delle preparazioni: la 
presenza d’inquinanti solidi, inorganici, non biodegradabili e non 
biocompatibili. Di queste presenze garantisco io perché, attraverso una 
metodica di microscopia elettronica validata da un progetto di ricerca 
comunitario, prima che Beppe Grillo ci facesse sottrarre il microscopio 
indispensabile per ricerche che evidentemente non gli piacevano, quella 
roba l’abbiamo trovata nel laboratorio che dirigo su tutti e 20 i 
vaccini che abbiamo avuto modo di analizzare.
Se sugli aspetti delle 
aggiunte più o meno biologicamente giustificabili si è discusso, 
sugl’inquinamenti si cerca di non fare parola. Evidentemente l’imbarazzo
 al proposito è forte, anche perché, con molte probabilità, mentre gli 
additivi di cui sopra sono immessi volontariamente dalle aziende 
produttrici, gl’inquinanti come quelli che abbiamo trovato noi arrivano 
nessuno sa da dove. Individuarne l’origine o, magari, le origini 
potrebbe essere un problema più grave di quanto non si possa immaginare a
 prima vista. Una ricerca in proposito presupporrebbe un’azione messa in
 pratica da persone competenti che, al momento, sperando di sbagliare, 
mi sentirei di dire che non esistono nel settore industriale specifico, e
 potrebbe significare rivedere parecchie cose nell’ambito della 
produzione: forze umane, attrezzature, tempi… Denaro, insomma, e l’ovvia
 ammissione davanti al mondo di aver trascurato un aspetto 
importantissimo relativo alla sicurezza. Ricordo en passant che 
iniettare polveri con quelle caratteristiche può indurre alcune di 
quelle che oggi si chiamano nanopatologie e che malattie come, ad 
esempio, l’autismo o la narcolessia, non sono affatto escludibili per 
semplice atto di fede.
Non vorrei dilungarmi su 
argomenti riscontrabili da chiunque ma, stando ai fatti, ignorati dalla 
signora De Candia, eppure qualcosa va ricordato.
Qualcosa va senz’altro 
accennato sulle sperimentazioni. Come credo sia noto, esistono tempi 
biologici che non si possono comprimere e, se le sperimentazioni si 
svolgono entro periodi più brevi di quanto Natura comandi, le 
estrapolazioni che eventualmente vengono fatte sono prive di qualunque 
valore. Insomma, se una malattia impiega 20 anni a manifestarsi, io devo
 lasciare trascorrere un tempo che superi ampiamente quel limite per 
poter stabilire se il mio farmaco è servito a qualcosa o no. Non solo, 
ma, non essendo la Medicina una scienza come la matematica, c’è bisogno 
di statistica, il che significa lavorare su popolazioni molto numerose e
 varie. Poiché l’industria non può permettersi di aspettare tanto né di 
operare su tanti soggetti, i risultati s’inventano. Triste? Magari 
qualcosa di più.
Restando alle politiche 
industriali, i vaccini costituiscono un business immenso che non può non
 essere sfruttato se l’ottica è quella del guadagno. È così che nascono i
 vaccini più improbabili per evitare malattie altrettanto improbabili.
Proseguendo, se si dà 
un’occhiata all’epidemiologia di certe malattie infettive, si scopre che
 la loro casistica era in diminuzione ben prima che se ne introducesse 
il relativo vaccino e il motivo è banale: una migliore igiene in ogni 
senso. Dunque, a ben vedere, non è raro che chi sostiene la pratica 
vaccinale vesta le penne del pavone per meriti che non gli toccano.
La signora De Candia, 
l’autrice dell’articolo, dovrà poi spiegare quale attività possano avere
 i vaccini sui neonati che, ahinoi, devono ancora mettere a punto il 
loro sistema immunitario.
Ora, per valutare un 
aspetto che non piace all’industria, la gentile signora De Candia 
potrebbe prendere, ad esempio, il morbillo. I bambini nati da madri che 
avevano contratto naturalmente l’infezione sono già immunizzati per 
alcuni anni. Nessuna immunizzazione per i bambini nati da madri 
vaccinate. Lo sapeva? E che ne dice delle vaccinazioni, per esempio 
contro l’influenza, praticate ad un’ottantenne con il sistema 
immunitario che si ritrova?
Naturalmente si potrebbe 
continuare, il tutto senza demonizzare niente e nessuno ma, 
semplicemente, pretendendo che si metta onestamente tutto sul tavolo 
come è giusto che sia.
Io non conosco questa 
giornalista. Dando per scontata la sua onestà, rifiuto di pensare che 
abbia avuto qualche sollecitazione a scrivere ciò che ha scritto, ma 
voglio mettere in guardia tutti: non date credito a chi si esprime su 
argomenti che non conosce. C’è chi studia e ricerca una vita e c’è chi, 
in mezz’ora d’interesse improvvisato, pretende, malauguratamente spesso 
ottenendo, di avere pari voce. È vero che oggi i maestri di pensiero 
sono i cantanti, i comici, gl’intrattenitori televisivi, i tuttologi in 
generale, ma così non si arriva da nessuna parte. Restando all’argomento
 vaccini, se si vuole chiarezza e progresso reale occorre rinunciare a 
quella che in retorica si chiama eristica, cioè l’arte di combattere un 
avversario a parole con il solo fine di sconfiggerlo indipendentemente 
dalla verità degli assunti.
Mi rendo conto che non sia
 facile distinguere le chiacchiere dai fatti, anche perché, come 
c’insegna una delle frazioni più buie e censurate della storia della 
Medicina, di scienziati venduti al migliore offerente ne abbiamo avuti 
tanti e ne continuiamo ad avere un piccolo esercito. Al di là di ogni 
ipocrisia, non si può che costatare che di questa piaga abbiamo pagato a
 carissimo prezzo le conseguenze, molto ancora dovendo pagare. Per 
questo potrei citare una collana di esempi, ma mi limito all’amianto. 
Decenni di pubblicazioni sulle riviste più prestigiose ne “dimostravano”
 l’innocuità. Poi…
Che fare? Magari 
cominciamo ad appellarci se non all’onestà almeno alla dignità di chi fa
 dell’informazione un mestiere facendogli presente che, alla lunga, 
certi atteggiamenti non pagano.


 
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